domenica 5 gennaio 2025

IL CASTAGNO, IL GIGANTE BUONO DELL’APPENNINO PISTOIESE

La pianta del pane raccontata da Giovanni Pascoli, il poeta del sentimento e della gentilezza













APPENNINO PISTOIESE – Il castagno è senza dubbio la pianta che meglio rappresenta l’Appennino Pistoiese e le sue «selve». Maestoso e generoso, questo albero non è solo il re del paesaggio montano: per secoli, ha nutrito e scaldato intere generazioni, tanto da meritarsi l’appellativo di «pianta del pane».

Giovanni Pascoli, il “poeta del sentimento e della gentilezza”, ne celebra il valore nella poesia Il castagno, dove racconta con delicatezza il ciclo di vita di questo albero e il suo rapporto intimo con la gente della montagna.

Attraverso immagini vivide e commoventi, Pascoli ci guida in un paesaggio al tramonto, tra cardi, erica e burroni, fino ai giorni d’inverno, quando il castagno dona ai tuguri montani il calore del suo legno e il nutrimento dei suoi frutti.

Leggendo questa poesia, riscopriamo il castagno non solo come una pianta, ma come un simbolo di solidarietà, resistenza e bellezza: un vero "gigante buono" dell’Appennino.

E voi, quando attraversate le selve dell’Appennino, vi fermate mai a riflettere sulla storia che ogni castagno racconta?

IL CASTAGNO

a Francesco Pellegrini 

I

Quando sfioriva e rinverdiva il melo,

quando s’apriva il fiore del cotogno,

il greppo, azzurro, somigliava un cielo

visto nel sogno;


brullo io te vidi; e già per ogni ripa

erano colte tutte le vïole,

e tu lasciavi ai cesti ed alla stipa

tutto il tuo sole;


e, pio castagno, i rami dalla bruma

ancora appena e dal nevischio vivi,

a mano a mano d’una lieve spuma

verde coprivi.


Ma poi, vedendo sotto il fascio greve

le montanine tergersi la fronte,

tu che le sai da quando per la neve

scendono il monte,


ecco, pietoso tu di lor, tessesti

lungo i torrenti, all’orlo dei burroni,

una fredda ombra, che gemé di mesti

cannareccioni.


II

E qualche cosa già nell’aspro cardo

chiuso ascondevi, come l’avo buono

che nell’irsuta mano cela un tardo

facile dono.


Ai primi freddi, quando il buon villano

rinumerò tutti i suoi bimbi al fuoco;

e con lui lungamente il tramontano

brontolò roco;


e tu quei cardi, in mezzo alle procelle,

spargesti sopra l’erica ingiallita,

e li schiudevi per pietà di quelle

povere dita


Tutti spargesti i cardi irti e le fronde

fragili, e tutto portò via festante

la grama turba. Nudo con le monde

rame, o gigante,


stavi, e vedevi tu la vite e il melo

vestiti d’oro e porpora al riflesso

già delle nevi, e per lo scialbo cielo

nero il cipresso.


III

Per te i tuguri sentono il tumulto

or del paiolo che inquïeto oscilla;

per te la fiamma sotto quel singulto

crepita e brilla:


tu, pio castagno, solo tu, l’assai

doni al villano che non ha che il sole;

tu solo il chicco, il buon di più, tu dai

alla sua prole;


ha da te la sua bruna vaccherella

tiepido il letto e non desìa la stoppia;

ha da te l’avo tremulo la bella

fiamma che scoppia.


Scoppia con gioia stridula la scorza

de’ rami tuoi, co’ frutti tuoi la grata

pentola brontola. Il vento fa forza

nell’impannata.


Nevica su le candide montagne,

nevica ancora. Lieto è l’avo, e breve

augura, e dice: Tante più castagne,

quanta più neve.

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