APPENNINO PISTOIESE – Il castagno è senza dubbio la pianta che meglio rappresenta l’Appennino Pistoiese e le sue «selve». Maestoso e generoso, questo albero non è solo il re del paesaggio montano: per secoli, ha nutrito e scaldato intere generazioni, tanto da meritarsi l’appellativo di «pianta del pane».
Giovanni Pascoli, il “poeta del sentimento e della gentilezza”, ne celebra il valore nella poesia Il castagno, dove racconta con delicatezza il ciclo di vita di questo albero e il suo rapporto intimo con la gente della montagna.
Attraverso immagini vivide e commoventi, Pascoli ci guida in un paesaggio al tramonto, tra cardi, erica e burroni, fino ai giorni d’inverno, quando il castagno dona ai tuguri montani il calore del suo legno e il nutrimento dei suoi frutti.
Leggendo questa poesia, riscopriamo il castagno non solo come una pianta, ma come un simbolo di solidarietà, resistenza e bellezza: un vero "gigante buono" dell’Appennino.
E voi, quando attraversate le selve dell’Appennino, vi fermate mai a riflettere sulla storia che ogni castagno racconta?
IL CASTAGNO
a Francesco Pellegrini
I
Quando sfioriva e rinverdiva il melo,
quando s’apriva il fiore del cotogno,
il greppo, azzurro, somigliava un cielo
visto nel sogno;
brullo io te vidi; e già per ogni ripa
erano colte tutte le vïole,
e tu lasciavi ai cesti ed alla stipa
tutto il tuo sole;
e, pio castagno, i rami dalla bruma
ancora appena e dal nevischio vivi,
a mano a mano d’una lieve spuma
verde coprivi.
Ma poi, vedendo sotto il fascio greve
le montanine tergersi la fronte,
tu che le sai da quando per la neve
scendono il monte,
ecco, pietoso tu di lor, tessesti
lungo i torrenti, all’orlo dei burroni,
una fredda ombra, che gemé di mesti
cannareccioni.
II
E qualche cosa già nell’aspro cardo
chiuso ascondevi, come l’avo buono
che nell’irsuta mano cela un tardo
facile dono.
Ai primi freddi, quando il buon villano
rinumerò tutti i suoi bimbi al fuoco;
e con lui lungamente il tramontano
brontolò roco;
e tu quei cardi, in mezzo alle procelle,
spargesti sopra l’erica ingiallita,
e li schiudevi per pietà di quelle
povere dita
Tutti spargesti i cardi irti e le fronde
fragili, e tutto portò via festante
la grama turba. Nudo con le monde
rame, o gigante,
stavi, e vedevi tu la vite e il melo
vestiti d’oro e porpora al riflesso
già delle nevi, e per lo scialbo cielo
nero il cipresso.
III
Per te i tuguri sentono il tumulto
or del paiolo che inquïeto oscilla;
per te la fiamma sotto quel singulto
crepita e brilla:
tu, pio castagno, solo tu, l’assai
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco, il buon di più, tu dai
alla sua prole;
ha da te la sua bruna vaccherella
tiepido il letto e non desìa la stoppia;
ha da te l’avo tremulo la bella
fiamma che scoppia.
Scoppia con gioia stridula la scorza
de’ rami tuoi, co’ frutti tuoi la grata
pentola brontola. Il vento fa forza
nell’impannata.
Nevica su le candide montagne,
nevica ancora. Lieto è l’avo, e breve
augura, e dice: Tante più castagne,
quanta più neve.
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