In ogni epoca è stato meta di visitatori, fra questi anche il poeta e scrittore Giuseppe Giusti che con arguzia e l’ironia della sua prosa, sferza conti e marchesi che incidono sulle pietre del lago il titolo nobiliare anteponendolo al proprio nome
LAGO SCAFFAIOLO. Il Lago Scaffaiolo, piccolo specchio d’acqua a 1775 m. di altitudine posto sul crinale dell’Appennino Tosco-Emiliano sotto la vetta del monte Cupolino, è stato in ogni epoca meta di visitatori, tra questi anche il poeta e scrittore di Monsummano Giuseppe Giusti.
Lo descrive in una lettera rivolta all’amico Pietro Thouar in cui racconta di Un viaggio nei Monti pistoiesi.
Con l’arguzia e l’ironia della sua prosa, sferza conti e marchesi che incidono sulle pietre del lago il titolo nobiliare anteponendolo al proprio nome “quasi – scrive il Giusti – che il tempo dovesse rispettare quei titoli” e, rincara: “utili se non altro alla statistica de’ vagabondi”.
Il Lago Scaffaiolo rimane più basso del Corno alle Scale, ed è in un bacino formato o da un vulcano, o chi sa da che cosa. Ha intorno a cinquecento cinquanta piedi di circonferenza, e pare che prenda alimento di sottoterra, perché gli scoli delle acque, veduta la ristrettezza del bacino, non possono esser tanti da ristorarlo di quello che n’asciuga l’aria. Pare che abbia molto fondo, perché, gettandovi dei sassi nel mezzo fanno un tonfo cupo e sonoro, indizio certo della profondità.Sebbene non sia cosa nuova nelle grandi montagne, pure è strano trovare un lago lassù; ma il più curioso è che non v’è un pesce né un uccello acquatico, né segno veruno di vegetazione, neppure un filo d’erba. Forse l’erba non comporta quel clima, quel terreno; e il ghiaccio, e la mancanza d’erbe e d’insetti, non lascia che vi allignino i pesci, o che vi si fermino gli uccelli acquatici, seppure l’ali li portano a quell’altezza.
Trovammo da una costa del lago infinità di pietre piene di nomi e di segni, parte antichi e rosi dal tempo, parte recenti, incisi a punta di coltelli o di chiodi. Ogni umano vestigio ti tocca il cuore in quelle solitudini; ed è ora solamente che nel rammentarmi d’aver letto anco in quelle pietre – Conte tale e Marchese tale – mi vien da ridere, quasi che il tempo dovesse rispettare quei titoli, come se fosse il custode del Casino. Ho detto che in luoghi deserti non par vero trovare le orme dell’uomo; e specialmente, se hai la sorte di leggere il nome d’un conoscente e d’un amico, ti pare di non essere più solo. È meglio portare scritta nella mente la memoria di quei luoghi, che scordarli appena veduti, e solamente lasciarvi l’allumacatura del proprio nome.[1]1
Ma per tutto è così. Oramai non c’è muro né sasso niente niente celebre salvo da queste morsicature di nomi e di casati, utili se non altro alla statistica de’ vagabondi, posto che i più meschini sieno i più prodighi di sé e del proprio nome, come della firma i falliti.
[1] Luogo di riunione che, al tempo del Giusti, solo i nobili avevano di dritto di frequentare.
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